VISITA ALL'OSPEDALE
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Una triste storia che a ben vedé è piena di speranza e fiducia ‘n Dio.
Doppo r caso Welby èn venuti fòra tanti malati, anco terminali, che mostravin d’èsse ben attacchi alla vita e un volevino certo che fonisse.
Scrivendo vestavì pensavo a queste gente e soprattutto a mi mà della quala la rima è ‘na fotografia.
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Ni diceva der tempo assai clemente…,
che ‘ raccorto era stato ‘onsistente…,
che le bestie crescevin, stavin bene….,
che tutto indava ben come conviene.
Pensava, a fà così, di divagallo
da ver pensiero fisso; da ver tarlo.
L’artro annuiva, taceva ed ascortava.
Una rassïurante carma trapelava
dall’espression pacata dorce e mite;
“sapeva” che le pene erin fonite.
Guarda l’amïo coll’occhi pien di pace,
apre ‘n popo’ la bocca, ma po’ tace.
Chisà s’èra dolore od un soriso
vell’espressione ‘he ni rischiara r viso.
Si ‘heta allora r primo, che ciarlava
di ‘ose che a nissuno n’importava.
Ni ‘hiede, no pe’ rompe r ghiaccio,
ma per divincolassi dar legaccio
di vella ciancia sterile e banale:
- vand’è che lasci il letto e l’ospedale? -
L’altro lo guarda, tentenna ‘n po’ la testa
e colla poga forza ‘he ni resta
socchiude l’occhi in un soriso umano
(eglie r malato a rinfrancà ver sano):
- Un só, fra poghi giorni, forse ore.
La volontà sia fatta der Signore. -
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